8.
Avvenimenti del secolo decimo nono
Al sorgere del secolo XIX
Il secolo presente, di cui noi attraversiamo l'ultimo scorcio,
nel suo nascere venne salutato da una gran salve di artiglieria
e di moschetteria da parte delle potenze Europee ed un tanto fragore
di armi, dai nostri avi fu sentito ben da vicino, perchè
questo rimbombo partiva dalla vasta pianura di Marengo e di Frugarolo
e S. Giuliano. Questo grande avvenimento fu come la potente molla
che apparecchiò l'Italia in modo che nel giro di circa un
mezzo secolo riacquistò la primiera sua unità, libertà
ed Indipendenza.
Napoleone discende nuovamente in Italia
Napoleone Bonaparte, primo fra i consoli della repubblica di Francia
sentiva il bisogno di rialzare il morale della nazione francese,
che grandemente si era ribassato colla sconfitta toccatagli sulla
Trebbia e sui piani di Novi Pasturana e Basaluzzo, per cui desiderava
di dirigere personalmente un grande fatto d'armi il quale richiamasse
a nuova vita ed a nuovo valore il suo esercito. Ne aveva ben donde
- Il Generalissimo - perchè il prestigio di Francia come
della sua armata nonchè del nuovo suo Governo - si era grandemente
scemato nei due anni di sua assenza mentre che egli trovavasi impegnato
nelle guerre d'Egitto. Per effettuare questo grandioso progetto
- dal quale, oltre al conseguire i sovraccennati vantaggi alla sua
nazione, pur gli nasceva la fede di cingere la sua fronte dell'imperial
corona - discese nuovamente in Italia con poderoso esercito passando
dalla frontiera savoiarda. Sul piano di Alessandria già stavano
pronti ad attenderlo i confederati - Austria e Russia - i quali
decisero di concentrare un potente esercito sulla vasta pianura
di Marengo onde dar ivi grande battaglia campale. In fatti il Generalissimo
dei confederati - il Melas - ravvisava adattissima quella pianura
che si stende da Marengo a Castel Ceriolo, e da San Giuliano a Frugarolo,
onde poter manovrare a suo bellagio con l'enorme Artiglieria e cavalleria
che teneva a sua disposizione.
Battaglia di Marengo
Non mi farò qui a descrivere la battaglia di Marengo la
quale per quanto siasi a pochi chilometri a mezza notte di Basaluzzo,
ma non avendo toccato il suo territorio riuscirebbe perciò
un lavoro che non entra nel nostro compito - ma sia per mantenere
un pochino il filo storico, sia per l'importanza che ne addivenne
da questo fatto d'arme avvenuto vicino a Basaluzzo - mi accontenterò
di annotare solo certe date ed appunti che hanno tratto a questa
grande giornata campale, per causa della quale si riformò
poi la carta politica geografica di gran parte d'Europa. Il giorno
13 di Giugno 1800 il Generale Tedesco, Melas, uscì dalla
fortezza di Alessandria e mandava nuovi soldati a rinforzare la
sua retroguardia lasciata dal suo generale Otto a Marengo, punto
da lui riputato molto strategico per il suo piano di battaglia.
Il grosso del suo esercito si divideva in tre colonne le quali per
quel giorno non fecero movimenti di sorta. A queste risoluzioni
dei Tedeschi, non stettero inoperosi i Francesi, i quali dopo di
aver riposato due giorni a Stradella, presero sospetto dell'inazione
di Melas e s'avanzarono ad osservare più da vicino le di
lui mosse. Intanto le schiere repubblicane erano state accresciute
da quelle del generale Desaix, il quale era giunto dall'Egitto e
correva a raggiungere il Primo Console che lo aveva incaricato del
comando di due divisioni; in tutto potevasi annotare a trentamila
uomini l'interco corpo francese. Nella notte delli dodici alli tredici
di detto mese si stabilivano sulla Scrivia. Appena sorto il mattino
del giorno tredici passarono tutti la Scrivia, e si disposero nella
pianura di S. Giuliano. Ma il nemico non compariva ancora Napoleone
suppose allora che il Melas volesse fare una marcia di fianco, ed
aprirsi una comunicazione con Genova. Questa idea concepita dal
Bonaparte fa si che si decise a modificare il suo piano già
preconcetto e perciò comandò a Desaix che a grandi
marcie si portasse sulla sinistra di Tortona verso la strada di
Novi, ed osservasse i movimenti del Melas se tentava di penetrare
nella Liguria, e potendolo - se ciò avveniva - gli impartì
l'ordine di aprirsi un passo attraversando i paesi di Fresonara
e Bosco e mettersi in comunicazione con Acqui.
Prodromi della giornata
Ma non fu che una supposizione questa, sorta nella fervida mente
di Napoleone ed in fatti verso le ore quattro pomeridiane si scorsero
le mosse a Marengo fatte dal Melas. Volò il primo console
su questo punto ed ordinò al suo generale Gardanne di attaccare
quel villaggio. Qui incomincia la grande azione e qui furono visti
sforzi estremi di valore e di prodezza d'ambe le parti, durò
il sanguinoso conflitto più di tre ore allorchè i
soldati di Otto improvvisamente si mettono in ritirata e lasciano
libero Marengo. Gardanne insegue e tenta di passare la Bormida ma
quelle rive erano state munite di artiglieria. La notte intanto
si avanzava e Bonaparte s'aggirava nei dintorni di Marengo muto,
pensoso ruminando nella sua mente il perchè i tedeschi si
presto avessero abbandonata quella posizione e non sapeva penetrare
l'intenzione del vegliardo generalissimo Tedesco.
La vittoria è della Francia
Frattanto sorgeva il mattino del giorno quattordici Giugno e le
due imponenti schiere incominciano l'attacco e dopo un intera giornata
di imperterrito valore, da ambi le parti addimostrato la vittoria
sorrise ai Francesi ed il Melas dovette abbandonare ai Francesi
tutto il Piemonte e lo stao di Genova il Ducato di Parma e Piacenza,
e la più gran parte della Lombardia. L'armata Berthier per
ordine di Bonaparte entrò in Alessandria nella notte stessa
del giorno quindici. "Una vittoria francese distrusse venti
vittorie tedesche o Russe", così osserva lo storico
contemporaneo Carlo Botta che nacque nel 1766 e morì nel
1837.
Perdite avvenute da ambi le parti
Ora veniamo alle dolenti note, conseguenza di si decisiva battaglia.
Morirono da parte degli Imperiali più di quattro mila soldati,
furono feriti settemila, e altrettanti restarono prigionieri. Dei
Francesi vi rimasero più di tremila uccisi e quattromila
feriti, e pochi restarono prigionieri i quali vennero ben tosto
liberati dai compagni che riportarono con loro venti bandiere tedesche,
trenta cannoni ed altre armi e trofei. Dello stato maggiore degli
Imperiali morì il generale Desaix e tre generali rimasero
feriti più Champaraux ferito mortalmente. I tedeschi in tutto
perdettero, la terza parte del loro esercito combattente. Ed i francesi
la quarta parte dei combattenti.
Basaluzzo fa parte del dipartimento di Marengo
Dopo la vittoria che i francesi riportarono a Marengo, siccome
già osservammo, il Piemonte passò sotto il governo
repubblicano francese, nell'anno 1800. E nel 1804 la Francia aveva
proclamato l'impero in surrogazione della repubblica e nominato
Bonaparte Napoleone I Imperatore dei Francesi e Re d'Italia avvenne
che per commemorare la grande vittoria si creasse, in forza di legge
Marengo come capoluogo di Dipartimento (capo provinciale) per cui
in virtù di detta legge il Comune di Basaluzzo venne compreso,
siccome già lo era sotto Alessandria ma con l'appellativo
di Dipartimento di Marengo. Tutti gli atti pubblici sia amministrativi,
notarili che giudiziari si trovano con simile intestazione. Vennero
pure coniati delle zecche per commemorare tanta vittoria, le monete
da venti lire non che da dieci, e vennero chiamat Marenghini e mezzi
Marenghi. Basaluzzo stette sotto la Francia quattordici anni, cioè
quattro sotto il Governo Repubblicano e dieci sotto l'Impero. Nel
suo ben custodito archivio ancora si conservano tutti i documenti
che riguardano a questa epoca ed attirarsi nella sala comunale una
magnifica Mappa del suo territorio di quei tempi, che serve ancora
oggidì al catasto in uno, mentre si stà in attesa
del nuovo. Osservai pure ben conservati ancora i numeri del giornale
ufficiale del dipartimento di Marengo che in allora venivano pubblicati.
Basaluzzo viene posto sotto la diocesi di Acqui
In questo frattempo cioè nel giorno diciasette luglio del
1803, venne emanato un decreto del cardinale Caprara autorizzato
da precedente Bolla pontifica per cui Basaluzzo, Fresonara, Francavilla,
ed altre parrocchie sive Communitates, ecclesiasticamente passano
dalla giurisdizione del Vescovo di Tortona e quella di Acqui e vi
rimangono sino al 17 Luglio dell'anno 1817. In quel torno di tempo
la politica cambia di aspetto e per i nuovi eventi, le Parrocchie
sopra riferite ritornano sotto la Mitra ripristinata dei successori
di S. Marziano. Di questa soppressione di Diocesi tortonese fu testimonio
il vescovo d'allora - Pio Bonifacio Fossati nobile Casalese dell'Ordine
dei P.P. Predicatori, Novantaseiesimo vescovo di Tortona che in
quell'anno ne reggeva le sorti, ed era Prevosto in Basaluzzo Don
Pacchiarotti nativo di Pozzolo Formigaro il quale fu l'ultimo Parroco
che rivestiva anche la carica di vicario Foranco.
Cessa la dominazione repubblicana e subentra Vittorio Amedeo
I nei nostri stati
Proclamatosi nel 1814 la decadenza di Napoleone I ebbe fine in
Italia la dominazione Francese e la cara nostra Penisola viene frazionata
in tanti piccoli stati l'uno dall'altro separati da Dogana o barriere
che non producono che grandi disagi all'Industria al Commercio ed
all'Agricoltura, e sono un incaglio dell'eterna legge del progredire.
Tutti questi piccoli stati assunsero la forza di governo assoluto
e perciò la vita politica in Italia è assopita e più
non si risveglia se non nel 1847. Nel mese di Maggio del 1814 salpò
dall'isola della Sardegna il nostro Re Vittorio Amedeo I il quale
venne poi festeggiato al suo sbarco a Genova quindi al suo arrivo
a Novi, in Alessandria sino alla sua avita reggia di Torino. Fu
su per giù, nel giorno ventidue di detto mese che il Municipio
di Basaluzzo il Clero e il Popolo si radunarono nella Chiesa Parrocchiale
a rendere grazie a Dio che dispone dei troni, cantando un solenne
Te Deum. Venne poscia pubblicato il proclama datato da Torino il
quale annunciava che il governo di Vittorio Amedeo I era ristabilito
sulle stesse basi che aveva nel 1790 (cioè di governo assoluto)
e sotto questa forma di governo Basaluzzo visse sino al marzo 1847.
La Parrocchia di Basaluzzo viene nuovamente aggregata alla
ripristinata diocesi di Tortona
Già osservammo poco fà, come la Parrocchia di Basaluzzo,
sia per condizioni economiche, o politiche dovette sotto il governo
Francese mutare di ecclesiastica obbedienza e cioè veder
soppressa la sua vetusta Diocesi che vantava la sua origine fin
dai tempo Apostolici, e venire posta sotto la data del 17 Luglio
1817 venga a nuova vita ripristinata la Diocesi Tortonese e come
la Parrocchia di Basaluzzo sia ritornata a far parte di quel vasto
episcopato. Avvenuta la decadenza del governo Francese e la contemporanea
ripristinazione del nostro legittimo Re pur ne avvenne la mutazione
di quei principii governativi che ci reggevano e parimenti si mutarono
le politiche circostanze. Per cui Sua Santità Pio VII d'accordo
col Re Vittorio Emanuele meglio provvidero alle esigenze ecclesiastiche
di questa nostra Diocesi la quale sia per vastità, sia per
vetustà non che per i preziosi e molteplici edifici sacri
è annoverata fra le prime dei Regi stati (Piemonte, Savoia
e Sardegna). Questo Papa emanò allora la Bolla che si intitolò
Beati Petri datata da Roma col 17 Luglio 1817. Pro erectione et
circumscriptione Sedium Arci. et Episcop in Dictionibus Aug Regis.
In virtù di tale documento la nostra Diocesi risorse a nuova
vita - revixit spiritus rius . Questo pontificio rescritto venne
pubblicato per mezzo del sig. Arciprete Bolla di Alessandria- subdelegato
Apostolico del cardinale Solaro il quale era esecutore apostolico
della citata Billa colla quale venne ripristinata la sede Vescovile
Tortonese col Capitolo - Seminario - e con nuove assegnazioni di
parrocchie, Collegiate, Benefici e luoghi Pii etc. In detta Bolla
al N°. 18 delle Parrocchie vengono pure annotate Basaluzzo,
Fresonara e Francavilla ed altre che vengono ripristinate a Tortona.
Così ristabilita dopo dodici anni, di interruzione, la vetusta
cattedra di S. Marziano nel 1819 riebbe ancora il suo Vescovo, ma
non nella persona di Mons. Pio Bonifacio Fossati si bene in quella
di Mons. Carlo Francesco Carnovale nobile e patrizio Tortonese il
quale fu il novantasettesimo dei successori dell'Episcopato di S.
Marziano.
Il Castello di Basaluzzo dai Grillo vien ceduto al Duce
di Mondragone
In questo giro di tempo, la proprietà del Castello di Basaluzzo,
salvo la parte che apparteneva già al Comune stesso, viene
ceduta la rimanente parte della famiglia Grillo altra dello stesso
stipite che portava lo stemma e il titolo Duca di Mondragone . Con
questo proprietario sia in forza di leggi governative emanate sia
per vendite, o cessioni di regioni da esso fatte, i diritti feudali
cessano e subentrano i diritti dell'Ente Comune ora chiamato Municipio
il quale, per amor del vero, seppe sempre conservarsi in una certa
tal quale agiatezza a fronte di molti altri della nostra Provincia.
E ciò torna a lode di chi man mano succedette nella pubblica
Comunale amministrazione.
Poscia diviene proprietà del Conte Rolla
Dopo il Duca di Mondragone cedette alla famiglia del Conte Rolla
la parte a lui spettante del Castello e dei fondi prativi, campivi
e vignativi di Basaluzzo; il quale in quel periodo di tempo diede
incremento all'agricolura dirigendo le agrarie operazioni con amore
ed attività, ma dopo parecchi lustri venne nella determinazione
di farne vendita a dettagli a vari Particolari di Basaluzzo. Questo
frazionamento di beni fu una potente molla per lo sviluppo della
Basaluzzese agricoltura, perchè questi proprietari laboriosi
ed a questa nobile arte inclinati non che intelligenti vienmeglio
crebbero in agiatezza o floridezza.
Parte del Castello di Basaluzzo dal Conte Rolla passa ai
Moncalvo
Fra questi Proprietari o particolari Basaluzzesi che combinarono
contratto col Conte Rolla si annovera la Famiglia dei Moncalvi i
quali fecero acquisto con diversi fondi della sua parte in cui tenevano
la sua sede gli Uffici Comunali.
Porzione del Castello dai Moncalvi vien venduta al Dotto
De Dauli
Tennero la porzione di questo Castello i Moncalvo per alcuni lustri
quindi ne fecero la vendita alla famiglia Dotto De Dauli. Questa
si pose a ripararlo dalle ingiurie subite dau secoli ed abbellirlo
alquanto non tenendo grande cura dell'ordina antico che un tale
edificio tanto vetusto meritava, però la arricchirono di
un magnifico scalone che mette in una vasta sala, e cintarono parte
del sottostante frutteto e fecero pure altre migliorie ed adornamenti.
La famiglia Dotto De Dauli però soffriva a malincuore la
soggezione, servitù di passaggio che aveva il Municipio di
Basaluzzo nell'antica porta castellana d'ingresso per recarsi nella
porzione che a quel Municipio apparteneva e d'altra parte non riusciva
nè estetico nè architettonico l'aprirsene una seconda.
Un altro inconveniente poi lo presentava l'accidentalità
stessa del terreno su di cui il Castello si erge, giacchè
tra la Chiesa Parrocchiale ed il Castello evvi pochissimo spazio,
ed aggiungi ancora che fra questi due edifici, in angusta convalle
formata dal Vallone, scorre la strada Comunale di circonvallazione
che viene ad allacciarsi alla strada Provinciale Novi-Ovada stessa.
Conviene pure osservare sull'ingresso del Castello e della Chiesa
che la sinuosità di questa strada non potevasi togliere se
non col permesso del Municipio ed una costosa elevazione di terreno
del Muncipio. Posta questa condizione di cose non restava altro
al Dotto De Dauli, che trattare col Comune affinchè gliene
facesse la vendita onde rimanesse unico proprietario del Castello
e di togliersi la vessatoria servitù di passaggio dalla stessa
porta castellana.
Dotto De Dauli divien proprietario unico del Castello
Propose infatti accettabili prosposte al Municipio, ma non approdarono
a buon fine. Senonchè nel 1875 si presentò in vendita
la solida ed abbastanza ampia casa posta sulla via principale Umberto
I che porta il numero civico 9 ed il Dotto De Dauli l'acquistò
e la propose al Municipio in permuta colla porzione del castello.
Il Consiglio comunale ravvisando la proposta accettabile sotto ogni
rapporto scesa al pubblico contratto con atto rogato dal not. Rocca
nell'anno 1875 col quale dismise la porzione a lui spettante al
Dotto il quale così restò unico padrone di esso.
Moti ed innovazioni politiche sociali del 1847
Seguendo il filo storico della nostra narrazione sul comune di
Basaluzzo, dirmo che le vicende poltiche sociali dal ritorno del
nostro re sino al 1847 passarono calme, se si eccettuano i moti
insurrezionali, avvenuti in varie parti del Piemonte per ottenere
il governo Costituzionale invece del Governo assoluto. Ma in quest'anno
(1847) si suscitò grande entusiasmo per tutta l'Italia, per
l'assunzione al trondo ed al Pontificato del Papa Mastai Ferretti
che prese il nome di Pio IX. Questo generoso Papa aveva accordato
ai suoi popoli della Romagna e di tutto lo Stato della Chiesa (come
avveniva allora appellato) un amnistia, ed inoltre aveva concesso
alcune riforme utili ai suoi sudditi per cui il suo nome risuonava
da un capo all'altro della nostra Penisola e pareva che Italia tutta
si scuotesse da un lungo letargo. Anzi sembrava che vi ritornasse
ai begli ideali del feudatario di Basaluzzo Papa Giulio II (Giuliano
della Rovere) il quale sovente ripeteva "Fuori il barbaro dall'Italia!..."
. Ed ecco che da ogni parte gridavasi: "Viva l'Italia!... Viva
Pio nono - morte agli austriaci". Il re del nostro Piemonte
che sino al 1821 e nel 1831 già aveva addimostrato di parteggiare,
come principe, per la libertà d'Italia e per la sua indipendenza,
emanò nel 1847, come nostro re, varie riforme circa il modo
di amministrare la giustizia e governare i suoi popoli e l'anno
successivo poi pubblicò la Costituzione e lo Statuto, con
la quale dichiaravasi che tutti i suddii dei suoi Stati erano eguali
dinanzi alla Legge. Fu da questo punto che Basaluzzo coll'intero
Piemonte e Sardegna mutarono regime di governo ed il vivere sociale
fece passaggio dal governo assoluto al governo Costituzionale sotto
il quale perdura tuttodì.
Prima guerra per l'Indipendenza d'Italia
Intanto Re Carlo Alberto pensò anche ad organizzare ed a
provvigionare il suo esercito per la guerra dell'indipendenza italiana.
Nel mese di Marzo del 1848 si pose alla testa di circa centomila
combattenti per recare soccorso all'insorta Milano che sulle barricate
si batteva con la guarnigione Austriaca da cinque giorni. Pensava
egli che tutti gli altri stati d'Italia pur essi avrebbero mandato
un contingente armato in suo aiuto. Infatti il re di Napoli spediva
sedici mila uomini nella Lombardia, e accortosi che si minacciava
una rivoluzione nei suoi Stati egli richiamò i suoi e colla
forza acquietò i tumulti e ristabilì l'ordine turbato.
Anche il Papa re Pio IX spedì un generale che era il Durando
alla testa di diecimila Romani; allora tutti credettero che il Pontefice
re si decidesse a fare come il suo predecessore Papa Giulio II e
che volesse rendere l'Italia Una, libera ed indipendente. Tanto
è vero che il Re Carlo Alberto pubblicava in quei giorni
un proclama nel quale diceva: "Fidente in Dio e nella santità
della nostra causa, fidenti in Pio IX ecc..." Ma invece si
venne poi a sapere che il Papa inviava quei diecimila unicamente
per difendere gli Stati Pontifici con ordine di non oltrepassare
i confini. Non si sa poi quale sia stata la vera cagione che abbia
invece indotto il generale ad entrare in Lombardia che si azzuffasse
coi Tedeschi e gliene toccasse la peggio. Anche il Gran Duca di
Toscana mandò seimila uomini in aiuto di Carlo Alberto; i
quali però non si poterono unire coll'esercito Piemontese
perchè prima che una tale unione si effettuasse, vennero
alle prese gli Austriaci e dopo valorosa difesa sopraffatti dal
maggior numero di combattenti, ne rimasero sconfitti. Il nostro
Re rimase solo in tanta impresa. Tuttavia la sorte delle armi gli
fu propizia e riportò molti vantaggi sopra gli Austriaci
i quali dovettero rinculare su di tutta la linea di battaglia oltre
il fiume Mincio per trovasvi una posizione di difesa che loro concedere
il tempo ad aspettare i rinforzi dalla Germania. Questi giunsero
ed allora il vegliardo generale Radetzky uscì ad incontrare
i Piemontesi e dopo alcune battaglie fatte con vario evento, l'esercizio
nostro dovette ritirarsi ripassando il Ticino dopo però di
aver firmato un armistizio. L'Imperatore d'Austria però,
per quanto apparisse vittorioso, si vide a mal partito perchè
mentre la Lombardia si era sollevata eroicamente, sorretta dalle
armi Piemontesi, avvenne che in Vienna e nella Boemia il popolo
si era rivoltato e voleva innovazioni da quel governo. Fu allora
che mentre si stava colle armi sospese, l'Imperatore offrì
al Re Carlo Alberto di concedergli la Lombardia sino al Mincio:
ma i Ministri Piemontesi, animati dal successo delle armi concepirono
maggiori speranze e ricusarono l'offerta e pretendevano di non solo
avere la Lombardia ma pu anco il Veneto. Intanto si avvicinava la
primavera del 1849 e Carlo Alberto non aveva perduto nè il
valore nè la speranza di vincere, e perciò mandò
a denunziare all'Imperatore d'Austria il termine dell'armistizio
ed entrò nuovamente in guerra con le sole sue forze che ascendevano
di centomila uomini, oltra ad un nucleo di valorosi Lombardi. Avvenne
poi la giornata campale di Novara dove il Re coi suoi due figli
fecero prodigi di valore, ma in seguito al tradimento del gentile.
Ramorino toccò a noi la peggio. Dopo questo avvenimento Carlo
Alberto abdicò alla corona a favore del suo primogenito Vittorio
Emanuele. Immerse nel più profondo dolore partì subito
alla volta di Oporto ove morì il 26 luglio 1849.
Seconda guerra per l'indipendenza
Basaluzzo alloggia un regg. della Guardia Imperiale di Napoleone
III Venne incoronato il nuovo Re Vittorio Emanuele e si ebbe la
pace sino al 1859 ma questa pare che fra il Piemonte e l'Austria
si era conchiusa si può considerare come una lunga tregua
armata, poichè da ambi le parti continuarono tali animosità
che chiunque poteva giudicare che i due avversarii non si erano
riconciliati. L'idea di formare un sol regno di tutta Italia signireggiava
in tutti gli animi per poco culti, e fece battere i cuori di amor
patrio. Questa idea d'indipendenza, da tanti secoli vagheggiata
era come un fuoco sotto la cenere che non attendeva altro che un
soffio per avvamparsi. In questo frattempo frequenti dispacci venivano
scambiati fra Re Vittorio Emanuele e l'Imp. Napoleone III. Eravamo
sul finire del 1858, e spuntava l'alba del 1859 allorchè
il barone Hubner, che era l'ambasciatore austriaco a Parigi, si
ercò col corpo diplomatico alla reggia di Bonaparte pel ricevimento
solenne del Capo d'anno ed avvenne che in quella circostanza prima
che il barone prendesse commiato, Napoleone gli rivolgeva parole
le quali da taluni astanti vennero interpretate per una semplice
rimostranza verso l'Austria, ma da altri vennero intese come un
indizio di prossima guerra ed il fatto poi ne addimostrò
la verità. Il Piemonte continuò ad armarsi, e la Francia
si collegò coi Piemontesi contro l'Austria. Le grandi potenze
d'Europa allora tentarono di riunire un Congresso onde riuscire
di assestare le cose d'Italia senza spargimento di sangue. L'Inghilterra
fece ogni sforzo per riconciliare le parti contendenti. Ma malgrado
tutti gli sforzi, questi tentativi di mantenimento di pace a nulla
riuscirono. Successivamente il giorno 23 di aprile, l'Austria minacciò
di invadere il Piemonte se fra tre giorni nno veniva ad un disarmamento
generale. Rifiutossi Vittorio Emanuele di assoggettarsi a così
fatte pretese e la guerra venne dall'Austria dichiarata alli 26
dello stesso mese. In questo stesso giorno cominciarono ad arrivare
truppe Francesi si per mare che per terra. I migliori generali di
quella guerresca nazione guidavano i loro corpi d'armata, lo stesso
imperatore Napoleone III era alla testa del suo esercito. Mentre
che sua i contrapposti, che gli alleati si mettevano in ordine di
battaglia avvenne qualche zuffa ma la prima giornata d'armi non
avvenne che il giorno 20 Maggio a Montebello presso Voghera e Casteggio
i quali luoghi già furono celebri per le vittorie riportate
da Annibale contro i Romani, e da Napoleone I in principio di questo
secolo contro i Tedeschi ivi gli Austriaci ebbero la peggio alli
30 Marzo fuvvi altra battaglia a Palestro e qui pure la vittoria
sorrise all'Italia. Altra più importante giornata fu il 4
giugno in cui gli Austriaci vennero vinti a Magenta, e dopo tale
vittoria l'imperatore dei Francesi ed il Re di Piemonte entrarono
a Milano il giorno 8 Giugno. Nel successivo giorno gli alleati riportarono
altra splendida vittoria presso il bordo di Melegnano o Marignano.
Ma la giornata decisiva fu a Solferino ed a S. Martino, due prossimi
al fiume Mincio il quale divide la Lombardia dal Veneto. In questa
battaglia stavano di fronte duecento mila combattenti da ambi le
parti, distesi su di venti chilometri in linea di combattimento.
L'esito ne fu che gli alleati restarono padroni del campo. Il giorno
8 Luglio venne conchiuso un armistizio fra i contendenti a Villafranca
per otto giorni per dare sepoltura ai cadaveri, trasportare i feriti
e riparare ai guasti toccati da ambi le parti in si memoranda giornata.
(La leggendaria impresa di Garibaldi nella Sicilia principalmente
coi suoi Mille a Marsala, Calatafimi. Ed il Cialdini e Persano della
I maniera a Capua, Gaeta ed Ancona non vi contribuirono potentemente?)
Durante questa tregua i supremi comandanti alleati proposero un
colloquio all'imperatore d'Austria che fu accettato il giorno 11
di Luglio a Villafranca ed ivi vennero firmati i preliminari di
pace che fu più tardi conchiusa definitivamente a Zurigo
città svizzera. Così il Piemonte restò padrone
della Lombardia. Questa guerra, che pareva dover durare assai, venne
terminata quando meno il mondo politico se lo aspettava. Il resto
d'Italia doveva poi unirsi al Piemonte ed alla Lombardia più
per lavorio diplomatico che per forza di eserciti come infatti avvenne.
Mi occorre di osservare che allorquando Napoleone III venne in Italia
divisò di porre il suo quartier generale in Alessandria e
Vittorio Emanuele aveva trasportato il suo a S. Salvatore. Fu in
quell'epoca che la brigata dei Volteggiatori della guardia imperiale
prese alloggio a Basaluzzo e parte a Fresonara e tano in questo
paese quanto in quello venne loro fatta quella accoglienza che giustamente
si meritavano quegli alleati che venivano a spargere il loro sangue
per la libertà della nostra Patria*.
Le successive annessioni col motto "Italia e Vittorio
Emanuele"
Succedettero di poi i seguenti plebisciti. Prima della Toscana
dei già Ducati di Parma e di Modena, della Romagne, di poi
Napoli colla Sicilia, queste regioni tutte si diedero in dedizione
al Re Vittorio Emanuele che perciò venne proclamato dai poteri
dello stato Re d'Italia. Quindi succede la grande sconfitta toccata
agli Austriaci dai Prussiani a Padova; ed al Re d'Italia viene da
questo fatto appianata la via che lo conduce a Venezia vagheggiata
da tanto tempo. Più tardi per altra sconfitta toccata ai
Francesi dagli stessi Prussiani Vittorio Emanuele entra in Roma
capitale dell'Italia ed il sommo Pontefice rimane in Vaticano nella
stessa Roma capitale spirituale della Cattolicità dell'intero
mondo. Il Re d'Italia così proclamò al Popolo: "Con
Roma capitale d'Italia fu sciolta la mia promessa e coronata l'impresa
che ventitrè anni or sono veniva iniziata dal Magnanimo mio
Genitore: l'Italia è libera ed una, ormai non dipende più
che da voi il farla grande e felice. Vittorio Emanuele" Il
prode Re morì in Roma il 9 gennaio 1878 e la sua salma ora
riposa nel Pantheon ed il 7 febbraio successivo venne pure a morte
il grande Pontefice Pio IX; quegli, nel Quirinale, questi nel Vaticano.
Fu successore del primo, Re Umberto e del secondo, Papa Leone XIII,
che entrambi nella eterna Città felicemente regnano sopra
i destini dei loro popoli.
Il Castello di Basaluzzo dalla famiglia dei De Dauli viene
ceduto ai Negrotto
Nel 1883 questo storico Castello, che era di intiera proprietà
della famiglia Dotto De Dauli, per aver essa fatto acquisto, e permutato
col Municipio, per la parte che esso possedeva, viene (come già
osservammo) in proprietà del Marchese Pier Luigi Negrotto-Cambiaso
nobile ed antica famiglia patrizia Genovese, la quale fece eseguire
in esso vari lavori di riduzione conservando l'estetica, e l'ordine
architettonico antico, lo arredarono nelle ampie sale ed appartamenti,
con molto buon gusto e con squisita eleganza, lo arricchì
un sottostante ed utile frutteto; sicchè ai giorni nostri
egregiamente si presta sotto tutti i rapporti estetici, e a servir
loro di comodo e geniale soggiorno e di vaga villeggiatura nell'estiva
stagione.
Sunto sintentico delle varie fasi di governo e dipendenze
politiche che ebbe a subire Basaluzzo dal suo immemorabile sorgere
sino ad oggi
Nei tempi immemorabili, di cui la storia appena ci presenta scarse
notizie sino all'anno 170 avanti Cristo, Basaluzzo viene compreso
nella Tribù ligure delli Statielli. Dall'anno 170 av. Cristo
al 476 dopo Cristo, stette subordinato e formò parte della
mondiale Repubblica e poi dell'Impero Romano. Dal 477 al 937 durante
la dominazione dei re stranieri si trovava sotto la giurisdizione
della città di Gamondio, che è l'odierno Castellazzo
Bormida. Nel 938 Basaluzzo vien posto sotto la città di Pavia
in quest'anno Adelaide (che poi venne santificata) figlia del Re
Rodolfo di Borgogna e moglie di Lottario ebbe in dote Basaluzzo
con molte altre Cortes o paesi muniti di Castello e di Parrocchia.
Morto Lottario passò a seconde nozze con Ottone I Imperatore.
Adelaide Imperatrice alla sua morte fa donazione di Basaluzzo agli
abati di S. Salvatore di Pavia e nell'anno 1000 l'abate di quel
monastero ne venne investito dall'Imp. Ottone III. In tal modo Basaluzzo
divenne un feudo di quei monaci, ma governativamente soggetto sempre
a Pavia. Però questo feudo era compreso in quella categoria
che il suo signore percepisce solo le diverse tasse a lui aspettanti
Sed Homines erant liberi. In prova di ciò che riferiscono,
i Basaluzzesi, che si reggevano coi loro Consoli nel 1179 o giù
per lì, si collegarono con la nascente città di Alessandria,
disponendo liberamente del loro Castello e di se stessi, senza menomamente
ledere i diritti feudali, ossia la percezione di quelle stabilite
tasse che erano dovute agli investiti P.P. di San Salvatore di Pavia
le quali erano su per giù quelle tasse che ora si pagano
all'Ente Comune. Nel 1249 i suindicati diritti sono ceduti alla
Repubblica Alessandrina e dalla giurisdizione di Pavia si togle
per far vita comune con Alessandria sino al 1513, ed in quello anno
essendosi estinta quella Repubblica venne compreso Basaluzzo, nel
Ducato di Milano seguendo la sorte toccata ad Alessandria. Dal 1514
al 1521 fu in dominio della Francia. Dal 1522 al 1535 di nuovo fece
parte del Ducato di Milano. Dal 1536 al 1557 fu sotto l'impero d'Austria.
Dal 1555 al 1700 sotto la Spagna. Dal 1701 al 1706 (8 nov.) di nuovo
in dominio della Francia. Dal 9 nov. 1706 al 8 Marzo 1707 in dominio
dell'Austria, dal 1707 al 1798 stette sotto al Principato del Piemonte
governato dalla Real dinastia di Casa Sabauda. Dal 1799 al giugno
1814 stette ancora sotto il Dominio della Francia, accettati nove
mese continui, cioè dall'Ottobre del 1799 e successivi passati
sotto la dinastia di Casa Savoia. Dal Luglio 1814 ad oggi 1895 trovasi
sotto la stessa dinastia.
Obbedienza ecclesiastica prestata da Basaluzzo dal principio
del Cristianesimo sino ad oggi
In quanto all'obbedienza ecclesiastica o spirituale sempre dipendente
dalla cattedra di S. Marziano cioè dalla Diocesi di Tortona,
dall'esordire del cristianesimo dai tempi Apostolici, sino all'attuale
Centesimo Vescovo Mons. Igino Bandi. Conviene però annotare
che nel breve intervallo dell'ultima dominazione Francese, e dal
1805 al Luglio 1815 da quel governo venne soppressa la Diocesi Tortonese
e la parrocchia di Basaluzzo fece passaggio alla Diocesi Acquese
e quindi ripassò ancora alla ripristinata Diocesi di Tortona.
In quanto ha tratto alla cura di anime locali osserveremo che da
tempo immemorabile Basaluzzo fece sempre parrocchia da sè
i di cui titolari appellavasi in antico col titolo di "Prae
beo" di poi vennero detti "Curiones" cioè
capi plebe da "Yaos plebe" quindi presero il nome "Rectore"
direttore di anime; col sorgere dell'italiana favella si dissero
Rettori attualmente nelle parrocchie di qualche considerazione si
di rendita come per numero di popolazione su chiamavano Prevosi
dal latino "Pre positus" per indicare il Capo spirituale
della parrocchia e finalmente alcune parrocchie si fregiano col
titolo di Arciprete.
Passaggio di proprietari che subì il Castello di
Basaluzzo
Avrà osservato, il paziente lettore che mi ha seguito sino
a questo punto della mia narrazione, che il Castello di Basaluzzo
sin dai tempi immemorabili degli Statielli, e poscia della Romana
dominazione, fu sempre del suo popolo che ognora governossi in quel
giro di tempo con regime Consolare78. Il Comune di Basaluzzo conservò
ancora una tal forma governativa sotto gli Imperatori Ottone I -
II - III come ci viene osservao dagli storici di allora79. È
vero che S. Adelaide donò Basaluzzo agli abati Benedettini
di S. Salvatore di Pavia, ma accordò loro solo l'esigenza
dei diritti feudali gli uomini ed il loro Castello vennero serbati
liberi. I monaci poi vendettero l'esazione di quelle tasse e balzelli
agli Alessandrini; già collegati ai Basaluzzesi, conservando
ognora la liberà ed il loro Castello. Fu nel 1467 che la
Repubblica d'Alessandria quando si sottopsoe a a Milano cedette
il Castello di Basaluzzo a Pietro Franc. Visconti e questa epoca
che segna il principio del vero feudalismo per Basaluzzo, che vi
si esercitava colle leggi del misto e puro imperio e coi diritti
di spada. Nel 1497 il Castello ed il Comune di Basaluzzo venne preso
colla forza dalle armi da Giuliano della Rovere79bis. Questa famiglia
poi nel 1634 lo vendette ad Agapito Grillo; quindi passò
ai Grillo Duchi di Mondragone; questi lo vendettero al Conte Rolla
e con questa famiglia cessa la feudalità di Basaluzzo, ed
il Castello diviene in proprietà, in parte del Municipio,
ed in parte della famiglia Moncalvo la quale poi lo vendette a Dotto
De Dauli il quale divenne padrone, poscia, anche della porzione
del Comune e lo vendette interamente all'attuale proprietario Marc.
Negrotto-Cambiaso Pier Luigi nel 1883.