Edifici pubblici e religiosi
Il Castello di Basaluzzo: sua descrizione
É questo il monumento più vetusto che ci rimane a
ricordanza dei tempi antichi per la storia di Basaluzzo; questo
Castello si erge sopra lieve altipiano della regione detta il Vallone
la quale è la più antica parte che venne abitata di
questo paese, come osserva il Gianfrancesco Capurro nelle sue Memorie
e documenti da lui raccolti per servire alla storia della Città
e circondario di Novi - pubblicate nel 1855. Questo Castello sta
come sentinella avanzata a guardia fra il confluente del Lemme che
tributa le sue acque nell'Orba ed il tiro delle due frecce d'incrociamento
di questi due torrenti. A tramontana guarda i già castelli
di Boidina e Predosa. Verso levante scorge quello di Novi e Pasturana.
Sul mezzodì la torre di Capriata e a Settentrione il fortilizio
di Fresonara che venne distrutto nel 1404 dai Ghibellini guidati
da Facino Cane. Tale è la sua topografica posizione. La strada
Provinciale che viene da Novi, lo rasenta, e volgendosi dinanzi
la porta castellana, vi scorre sotto scendendo nelle valli del Lemme
e dell'Orba per mettere capo ad Ovada. Meno che dalla parte d'ingresso
che è a levante, vien tutto fasciato all'ingiro da un alto
rivone popolato di fitte piante d'Olmo e roveri su di quella macchia
sorgano le sue robuste basi in modo che si presenta con un solo
accesso o porta; sormontata dal gentilizio stemma (oggidì)
dei Marchesi Negrotto-Cambiaso. L'ingresso è verso il Paese
ed è collocato fianco della torre di difesa, che negli antichi
tempi era munita di ponte levatoio di cui ancora oggidì se
ne scorgono le visibili traccie in quella stessa torre. Un'altra
torre di guardia si elevava di forma rotonda, sull'angolo nord di
detto castello ed era collocata quasi di rimpetto all'attuale Canonica
od abitazione del Prevosto, la quale venne demolita in principio
di questo secolo. Altra torre di guardia serviva l'attuale Campanile
sulla quale stava collocata la Campana feudale che dava i rintocchi
quando il bisogno lo richiedeva; o dava campan martello, allorchè
il castello era stretti da imperiose necessità o di offesa,
o di difesa. Questa torre poi sullo scorcio del 1500 venne ceduta
o donata dal feudatario per uso di Campanile della parrocchia, e
ciò avvenne posteriormente alla Bolla Pontificia Instaurands
di Papa Innocenzo X che venne emanata nel 1652. Passando ora a tratteggiarlo
un pochino nel suo interno, diremo, che entrato dall'unica porta
castellana, il visitatore trovasi sotto un ampio atrio sorretto
da robuste pile, muri, ed archi, dando l'accesso a destra ad uno
scalone con gradinate in marmo della larghezza di oltre due metri,
ed a manca ad una porta con lesene ed architrave di granito, quest'era
la porta che serviva prima alla proprietà del Municipio.
Un'altra porta pure a sinistra da adito alla sale ed agli appartamenti
del pian terreno. Qui giunti ci troviamo in uno spazioso cortile
nel cui centro vi è un gran pozzo vagamente coperto di arbusto
e di rampicanti che prendono la forma di un berceau. Questo pozzo
è munito di solida pompa premente ed aspirante che mediante
tubi mette l'acqua in serbatoi sino all'altezza dei tetti, e di
là si ramifica a piacimento e discende per tutti gli appartamenti
e nei bagni muniti di ben distribuiti rubinetti. Volgendosi, l'osservatore,
colle sue spalle a manca, di fronte e di destra, scorge l'ossatura
e l'antica forma di costruzioni delle robuste mura che reggono tutto
quell'edifico e spontanea sorge l'idea dei tempi feudali e per associazioni
di idee pare di scorgere ancora le prigioni ed i sotterranei antichi
e ne hai ben donde, perchè questo castello in quei tempi,
non solo serviva di amenva villeggiatura come ai giorni nostri,
ma allora chi l'abitava vi esercitava i diritti di misto e mero
imperio, ed in quell'epoca di feudalismo nei sotterranei di questo
castello si tenevano le prigioni, che i più vecchi di questo
paese sentivano ricordare dai loro nonni, nelle quali si discendeva
per una scala in muratura. Passati quei tempi tristi, mutatesi le
condizioni sociali, mutato il pubblico regime, pure quei luoghi
di terrore si convertivano in cantine, cucine, e lavanderia. Inoltrandosi,
il visitatore di alcuni passi verso il tramonto gli si presentano
aiuole cosparse di fiori e di profumate erbe, e giunti all'antica
ghiacciaia incomincia il terreno a convergersi al declivio tutto
all'ingiro del castello; e tra fiori e piante e ben scompartite
strade ed aiuole si raggiunge il piano, ove vegeta un ricco frutteto
si per qualità di frutta come per varietà e pare di
essere discesi da un giardino pensile.
Casa comunale
Nella prima parte di questa narrazione, già abbiamo osservato
che la sede Comunale teneva stanza coi suoi uffici in una parte
del castello. Fu per istrumento di permuta tra il Dotto De Dauli
ed il Comune che questi portò i suoi Uffici nella sua proprietà
della attuale casa municipale in via Umberto I, la quale è
segnata col numero civico Nove. Questa solida e ben costruita casa
è così distribuita. Il pian terreno si compone di
un atrio comodo che dà accesso ad una abbastanza ampia scuola
femminile alte camere in una delle quali la scuola della società
filarmonica; da pure accesso ad un decente cortile ad una scala
per ascendere al piano superiore nel quale è una seconda
scuola femminile, l'aula comunale per le pubbliche sedute la segreteria
l'archivio ed una camera destinata ai Carabinieri quando temporaneamente
vi pernottano. Perciò si può dire che riesce una casa
comunale sufficiente ampia e ben disimpegnata, e ben si presta all'azienda
dei pubblici uffici.
Mulino e derivazione d'acqua dal Lemme
Il mulino di Basaluzzo è sito a levante del Castello, e
vien diviso questo, da quello dallo stradone Prov. che scorre in
mezzo di questi due edifici. Prende la sua forza motrice da un salto
d'acqua che ivi vien condotta per un apposito bedale o roggia, proveniente
da una diga o palafitta che attraversa l'alveo del Lemme sul punto
detto "Mal fornita". Questo molino consta di tre palmenti
i quali nelle favorevoli condizioni di abbondante acqua sono tutti
in movimento. Dà il reddito a questo Municipio di un annuo
fitto di Lire duemila e settecento lire. La concessione di derivazione
d'acqua fu accordata al Comune di Basaluzzo dal Marchese Bonifacio
di Monferrato come risulta da un diploma in pergamena che tuttora
si conserva nell'archivio Comunale in data del 1416.
Peso pubblico
Il pubblico peso è collocato in principio della via Umberto
I dalla parte destra, di chi dallo stradone di Novi sbocca in detta
contrada. Venne costruito nell'anno [...]
Questo comodo ed utile impianto indica un passo progressivo verso
lo sviluppo commerciale ed agricolo dei Basaluzzesi e pure ridonda
a vanaggio del comunale bilancio procurando un cespite di reddito,
che oscilla dalle lire 200 annuea alle 300 circa.
Piazze pubbliche
Piazze propriamente dette a Basaluzzo non ve ne ha; vi sono dei
larghi che assumono impropriamente queso nome, come il psoto fiancheggiante
la Chiesa parrocchiale, già Cimitero vecchio e prospicente
il Castello ed un po' l'attuale casa comunale, là dove la
principale via perde il nome di Umberto I per assumere quello di
stradone che discende a Capriata per Ovada, dicesi Piazza della
Chiesa. Una consimile piazza si incontra, nella via accennata in
forma di un triangolo appellata Piazza Mazzini dove è sito
il forno ed il pubblico Pozzo comunale. Un altro largo o piazza
che dir si voglia, si incontra pure nella stessa via in quel tratto
di spazio dove si diparte la strada di Francavilla. Su di questa
vi è il Regio Ufficio Postale e telegrafico. In questo luogo
comunemene nell'occorrenza delle feste patronali del Paese si erge
il padiglione del pubblico ballo. Questo è più lungo
che ampio, spingendosi di rimpetto al pubblico oratorio della confraternita
di S. Antonio, il quale prende il nome di piazzale dell'omonimo
pio sodalizio.
Antico e nuovo cimitero
La morte non era guardata con terrore dagli antichi e perciò
non circondata da tetri e funebri emblemi. Per i Cristiani poi era
considerata come un temporaneo riposo, anzi un sonno da cui erano
certi di svegliarsi un dì, preannunziato nel libro biblico
dell'Apocalisse. Da questa immortal fede nacque il nome dei pubblici
cimiteri - cioè Dormitori - ove i poveri morti dormono finchè
Dio inimi: "Aride ossa, risorgete!" Ecco la regione per
cui noi troviamo in tutti i paesi, gli antichi cimiteri collocati
a destra o a sinistra delle chiese parrocchiali quasi chè
in questa prossimiore località della Chiesa la divinità
avesse maggior tutela per i cadaveri. Anche Basaluzzo aveva il suo
antico cimitero, il quale era collocato in quel lembo di terra,
che fiancheggiando la parrocchia aveva i muri di confine, colla
Via Umberto I, la casa dei Bianchi coll'attuale N.° civico 8
ed aveva la prospicenza verso la porta del Castello. Il sistema
di tumulazione poi era poco consono coi principi dell'igiene, e
poco consentaneo alle regole di decenza che anche si deve usare
coi poveri cadaveri, giacchè parecchi di essi venivano sotterrati
senza feretro e con poca diligenza. Col progredire della civiltà
e della scienza dell'Igiene si capì che un tale sistema di
sepoltura, ed una simile località, cioè in luogo continuamente
rasentato dai pii fedeli che di frequante devono recarsi alla Parrocchia,
era la triste causa di frequenti epidemie e contagi; per cui impensieriti,
i nostri legislatori impartirono uniformi istruzioni onde i Cimiteri
comunali venissero traslocati ad una data stabilita distanza fuori
dall'abitato, e che dai comuni venisse ordinato un più igienico
servizio necroscopico onde tutelare la salute pubblica. Fu allora,
mentre era sindaco di Basaluzzo Carlo Giuseppe Rocca nell'anno 1843
che il Municipio stabilì l'attuale ubicazione del nuovo Cimitero,
la quale a dire il vero poco oggi si presta alle vieppiù
sviluppate idee di incivilimento come pur riescono disadatte le
località del Cimitero di Fresonara e Bosco per trovarsi rasentanti
la ferrovia ed in illegale distanza dall'abitato.
Chiesa parrocchiale sotto il titolo di S. Andrea
Prima di fare la descrizione di questa chiesa parrocchiale di Basaluzzo,
dirò che il suo Santo patrono sino dalla sua fondazione fu
S. Andrea il quale era fratello di S. Pietro principe degli Apostoli,
di cui egli era nel novero dei dodici. Si crede dagli storici, che
a Patrasso nell'acaia sia stato inchiodato su di una croce, fatta
a modo di un X donde ne venne il nome di croce di S. Andrea. Questa
chiesa è una fabbrica assai grande: ha tre navate se non
cinque comprese la cappelle, le quali sono chiude dalla parte davanti
con balaustre in pietra. La sua architettura non indica un'antichità
tanto remota, ma si vede come sia stata rifabbricata e rafforzata
e accresciuta a più riprese. Il coro è costrutto a
semicerchio con i salli dei cantori formati di legno di noce, ed
ornati con cornici che si scorgono fatte da intelligente autore.
Adorna la prospettiva del coro un quadro rappresentante il santo
Patrono Andrea il quale vien giudicato di comune pennello. L'altare
maggiore è di fino marmo e finemente lavorato da buon scalpello;
è collocato isolato da tutte le parti sedendo in mezzo ad
una superficie quadrata proprozionale l'ampiezza del sito. Quindi
il presbiterio si dilata per lasciar luogo a due altari che stanno
l'uno a destra e l'altro a sinistra del maggiore i quali vengono
tutti e tre chiusi da una ricca balaustra di marmo di Carrara stupendemante
lavorato, con tre gradini e tre anditi di passaggio, sicchè
l'ampiezza dell'intero Sanctu Sanctorum raggiunge le proporzioni
di una cattedrale. È un bel lavoro quello dell'altare posto
in cornu epistole tutto in marmo bianco con l'ancona, la quale con
contorni di buon disegno racchiude i quindici misteri del Rosario
che formano corona ad una sfondata nicchia nella quale sta in adorazione
la stauta in legno ononima. Una tela ad olio ripara la statua stessa,
quale venne dipinta dal sordo muto Lorenzo Roma allievo della scuola
di Brera in Milano. Quest'altare sta di fronte alla navata minore
di destra di chi entra. Di fianco a quest'altare è misurata
la lapide che ricorda la fondazione della Compagnia del Rosario
nell'anno 1696 come già riportammo al capo della prima parte
di quest'opuscolo . Sotto a questa lapide ve n'è infissa
un'altra pure di marmo la quale riporteremo nella parte biografica
allorchè faremo cenno del sacerdote Basaluzzese Don Felice
Gemme. Similmente l'altro bell'altare che sta a fronte della minor
navata di destra, è di marmo e pur esso, è incrostato
di marmi a colori su fondo bianco i quali armonizzano vagamente
con giusto disegno e linee giustamente pronunciate terminando a
somiglianza dell'altro su descritto; nel centro in marmorea ancona
è collocato un buon quadro ad olio rappresentante il martirio
della vergine Siciliana Agata, che d'ordine del Pretore Quinziano
fu privata della mammelle, imperante Decio. Questa è opera
del delicato pennello della distinta pittrice Carea Genovese, la
quale ebbi la sorte di conoscerla allorchè nei tempi di mia
fanciullezza da Genova si recava a villeggiare sulle fini di Fresonara
alla Cascina Scarpona così appellata perchè è
fabbricata su terreno scarponato che forma il Rio Cervino. Volgendo
ora lo sguardo a destra vediamo la pella dedicata a S. Francesco
d'Assisi fondatore dell'ordine dei Fratelli minori o Francescani
il quale Santo nacque nel 1182 e morì nel 1229. In uno quadro
che forma ancona all'altare è rappresentato il Santo in atto
di disputa, l'ancona è sorretto da due colonne scannellate
che sostengono un bel modellato architrave il tutto ornato da antichi
fregi dorati che formano un lavoro abbastanza pregevole. Seguendo
sempre a destra, fra il muro che divide la suddetta cappella, da
quella della vergine Immacolata, si presente un ampia apertura munita
di vetri da ambi le parti la quale serva di nicchia alla bella statua
di S. Gioacchino opera di qualche pregio sortita dallo scalpello
del Montecucco. Ben ideata fu l'anzidetta apertura sia poichè
il pio visitatore, o l'intelligente dell'arte scultoria possono
a piacimento, il primo intercedere dal padre della Vergine a Dio
pari, quelle grazie di cui abbisogna, ed il secondo studiarne le
proporzioni ben conservate dell'arte che studia di imitare la natura.
Slanciata si presenta sopra quel mazzo la figura dell'angelo che
vi si posa, e che predice le mistiche ideee in preghiera gli stà
dinanzi assorto in santa gioia. Mi permetto però una mia
osservazione, e si è che ammirando la bella statua, mi è
sembrata sproporzionatamente colossale per essere portata in processione
nel dì della sua festa che si celebra verso metà di
agosto. Ora ci troviamo nella Cappella dell'Immacolata Concezione
detta anche cappella dei Parroci forse perchè quando le tumulazioni
dei cadaveri si facevano nelle chiese in questa cappella appunto
avevano il loro tumulo i parroci vicari di Basaluzzo, ed in prova
di ciò in essa troviamo un epigrafe che ben ci ricorda questo
fatto, e che tutti possono leggerla dettata nella Romana lungua
del Lazio, ma che io meglio reputo di volgerla in Italiana favella,
ad intelligenza di tutti. Eccola: J. U. D. Il prevosto Pacchiarotti
d'anni 87 resse questa parrocchia per anni 51. Caro a Dio ed ai
suoi parrocchiani: spirò nel bacio del Signore il giorno
28 Settembre, l'anno 1836. Pregate per l'anima sua. Ciò premesso,
volgeno le nostre osservazioni su di detto altare lo scorgiamo lavorato
in antico stucco con poco pregio di linee e di contorni, ma in compenso
l'occhio del visitatore trova da compiacersi sul quadro ad olio
che serve di Ancona rappresentante la B. Vergine. Questo quadro
sia per la giusta intonatura delle ombreggiature e del colorito,
che per le giuste sue proporzioni vi rivela colla sua relativa antichità,
di essere uscito da un pennello di nuona scuola. In questa cappella
venne recentemente eretto il sodalizio delle Figlie di Maria e sull'altare
vi è pur collocato il relativo quadro di S. Maria Agnese
loro protettrice; ed appesi alle pareti vi stanno due quadri contenenti
le regole la Bolla dell'erezione della Compagnia stessa. Abbandonando
poi la descritta cappella e volgendosi verso la destra porta d'ingresso,
noi ammiriamo un antico affresco del 1468 rappresentante la Madonna
delle Grazie seduta sopra una segiola, il disegno è corretto
e di giuste proporzioni, sia della vergine come nel sacro putto
che tiensi seduto in grembo, ma di leggieri si scorge che, forse
dalle ingiurie del tempo logorato, venne ritoccato da pennello assai
inferiore di chi ne aveva eseguito l'originale. Mentre riesce stupendo
il dipinto del sacro volto che sia collocato sopra le linee servono
di cornice la quadro principale. Questo è conservato assai
bene nella sua antica freschezza e non venne ritoccato, ed attrae
l'occhio intelligente del visitatore. Forse un tale prezioso affresco
venne fatto eseguire da Pietro Francesco Visconti che fu feudatario
di Basaluzzo dal 1467 al 1497. Questa affegge della Mater Gratiarum
è tenuta in grande venerazione dai pii Basaluzzesi. Portiamo
ora le nostre osservazioni alle cappelle poste a cornu evangeli
cioè a sinistra di chi entra, la prima dopo il presbiterio
è quella dell'angelo Custode il di cui altare è lavorato
a stucco sormontato da colonne spirali secondo lo stile del 1500.
Il quadro che gli serve di ancona è di moderna scuola, rappresenta
l'angelo Custode e non ha gran che di pregio se eccetui la vaghezza
della sua smaglianti tinte. È invece pregevole il quadro
di forma ovale, di non grandi proporzioni, che stà appeso
alla destra parete di questa cappella che rappresenta la sacre famiglia
col S. Giovanni Battista. Questo ti rivela un pennello che è
bene iniziato alla scuola del nudo. Nelle paffute forme del Battista
e del Giuseppe e di Maria si scorge una giusta intonazione di divinità
che soddisfa che si sofferma a rimirarlo. Passando oltre troviamo
la cappella di S. Carlo la quale ha pure l'altare lavorato a stucco.
Il quadro che forma l'ancona rappresenta il Santo Cardinale in atto
di preghiera. In fondo al quadro vi è tratteggiata la facciaa
del Casello e della Chiesa che descriviamo, riportando le forme
dell'uno e dell'altra che avevano nel secolo scorso. In complesso
è questo un lavoro di poco pregio. Uscendo da questa cappella
troviamo il Battistero il quale sento con piacere, che ora si vuole
adornate con una bella cancellata giacchè l'attuale è
di legon poco in armonia con la proporzionatamente vasta alta, e
bella chiesa che riesce un vero ornamento di questo paese. Il sacro
fronte è di bianco marmo. Notai un bel confessionale che
porta lo stemma Papale, credo che ciò ricordi i tempi in
cui il papa Giulio II era feudatario di Basaluzzo. Il coro col Santo
Sanctorum e tutte le tre navate sono fornite tutte di bel pavimento
in marmo, il quale nel presbiterio e coro venne eseguito nell'anno
1769 ed a partire dall'elegante balaustra nelle tre navate sino
alle tre porte d'ingresso venne posto in poera nell'anno 1862. Sei
colonne in muratura, di forma rotonda, sorreggono nell'interno le
tre navate principali; quella del centro (cornu evangeli) serve
pure a dar sostegno al vasto Pergamo il quale per la sua ubicazione
riesce assai agevole, al sacro oratore per spandere con lieve fatica
la sua voce, e riuscire inteso da ogni parte del tempio. I serbatoi
dell'acqua santa sono pure di marmo. L'organo sta in fondo sopra
la porta maggiore d'entrata e di rimpetto al maggior altare. È
di costruzione antica, possede 16 registri compreso la soneria ed
il ripieno, attualmente viene suonato dall'abile maestro Dardano
Giuseppe che è un allievo del celebre maestro P. Giletti
dell'ordine dei predicatori, il quale lasciò degna fama di
sè nel nobile studio della sacra musica.
Sacrestia
Varie sacrestie possiede questo tempio, ma quella che più
merita di essere da noi osservata si è quella in cui si raduna
il clero per indossare e mettere i sacri vestimenti. È questa
ben illuminata con finestre a Levante, ed eccettuati i vani delle
finestre è tutta attorniata da ornati scaffali in legno di
noce. Sulla porte che mette nel coro e nel presbiterio è
effiggiato in basso rilievo il patrono Sant'Andrea. Di rimpetto
a questa vi è una grande mensola tutta in noce sopra la quale
stanno preparati i sacri arredi che servir devono per i sacri Uffici.
Di rimpetto alle finestre, nella parete opposta, in appostio scaffale,
stanno rinchiuse a chiava tutte le carte relative al parrocchiale
archivio, l'ordinata separazione e classificazione delle quali,
lascia un pochino a desiderare per chi ama l'economia del tempo.
Questa sacrestia, sia per la sua proporzionata ampiezza sia per
i comodi che presta, sia pure per le giuste divisioni e relativi
scompartimenti dei ricchi scaffali è bel degna appendice
di questo tempio. In questa ancona si ammira un quadro ad olio che
rappresenta il ritratto di un benemerito di Basaluzzo e della sua
Chiesa cioè Don Giuseppe Bianchi Basaluzzese professore di
matematica nella R. Università di Torino del quale faremo
accenno nella parte Biografica. Se nel descrivere questo tempio,
noi l'abbiamo trovato nel suo interno, di semplice, ma non disadorna
architettura e bastevolmente decorato, e ricco specialmente nel
suo presbiterio di non comuni marmi, pur ricco lo troveremo osservando
i sacri arredi di cui va fornito i quali servono ad adornarlo nelle
maggiori solennità dell'anno, faccio questa annotazione storica,
osservando ciò che devesi in grazia della divota gara del
clero e popolo dispiegano in provvedere al decoro del divin culto
e per l'amore che ognora portano alla religione che dagli avi loro
venne tramandata qual sacro retaggio. Nelle sacrestie di questo
tempio si conservano belle tapezzerie di damasco antico in seta
per addobbare le sue pareti le colonne, gli archi e il volto da
cui, vagamente, con simmetrico ordine pendono a festoni cadenti
facendo corona a lampadari di cristallo di rocca nei giorni di grande
solennità. Sono pur ivi riposti dorati candelabri e vaghe
spalliere di fiori tinti per adornare tutti i sette altari con belle
lampade, croci etc. Vi si conservano ricchi ternarii, piviali, pianete,
diligentemente riccamente, con giusto disegno, ricameti e camici
ed il completo e finito sacro corredo dei sacerdoti formato di finissime
tele, il tutto veramente degon si per numero che per finezza di
lavoro, di una collegiata. La facciata della Chiesa vien ritenuta
dagli intelligenti di disegno, non molto corretta nel vero stile
architettonico, è però a sufficienza, bella e pulita
e adorna di lavori in pietra.
Campanile
Come già osservammo questo camanile nei primi tempi servire
al feudatario ad uso di specola o torre di guardia. Il Gian Giacomo
Capurro nelle sue memorie annotava che era come ora di forma quadrata
di m. [...] per lato, che la sua altezza era di un metro circa meno
del punto in cui ora stanno collocati le campane, che il luogo ove
sta collocato l'orologio serviva all'arciere di guardia per ripararsi
nei momenti di intemperie; il sommo della orre era munita di merli,
e nel suo centro vi era posta la campana feudale la quale serviva
agli usi di quei tempi. Sotto il Pontificato di Leone X quel papa
pubblicò una Bolla in data del 1521 colla quale ordinava
che la cura spirituale di questi paesi (la quale sino allora trovavasi
affidata ai Monaci di S. Benedetto) passasse ai Parroci nominati
dal Vescovo Diocesano fra i sacerdoti appartenenti al clero Episcopale;
così venne tolta la cura delle anime agli abati ed accordata
al clero episcopale con il diritto della percezione delle decime
il quale diritto man mano scomparve coll'erezione delle prebende
parrocchiali. Fu in questo frattempo che i Vescovi si accordarono
coi feudatari e da loro si ebbero in cessione, e in donazione certe
canoniche e campanili ect. Così avvenne a Basaluzzo mentre
era feudatario il Visconti. Sull'attuale campanile vi sono collocate
4 Campane non vecchie perchè ricordo io di aver visto a farne
rifusione in tempi di mia adolescenza. Vennero rifuse nel luogo
detto il Cortone, sotto il portico che sta di rimpetto alla porta
ora segnata col N. 8 nella contrada dei Bianchi. Nulla si ha ad
osservare in questo campanile, di attraente, sia dal lato estetico
che da quello architettonico, se non se ne ammira la solida e robusta
sua antica costruzione in stile molto semplice .
Canonica
L'abitazione del Prevosto, che viene detta Canonica o Prevostura,
si scorge che è molto vecchia e ce lo indicano quegli sperroni
in mutatura che quasi lo sostengono verso la contrada del Canevaro
ove è sita al N. 2 essa fiancheggia la Parrocchia alla quale
potrebbe venire allacciata con comodità del Prevosto. Dalla
sua costruzione appare che sia stata più volte riformata
e parecchie volte rafforzata come ce lo provano due iscrizioni latine
fatte eseguire da un prevosto chiamato D. Palenzona, credo oriundo
di Pozzolo al quale succedette D. Pacchiarotti, quindi il D. Petazzi.
Queste iscrizioni sono pose sul muro verso mezzodì, l'una
sopra l'altra sotto un vecchia affresco sul quale è effigiato
S. Andrea con un iscrizione ai piedi, che per essere logorata dalla
vetustà e dalle ingiurie del tempo difficilmente si può
interpretare. Questa Canonica se è un pochino angusta nella
parte civile è abbastanza ampia dalla parte della corte e
nel fabbricato rustico. È adottata di sufficienti fondi prativi
campivi e vignativi, onde sostentare con una relativa agiatezza
il Prevosto pro tempore investito dalla stessa prebenda.
Due badie - Quella di S.M. e S. Bartolomeo del Fossato
Lo storico Goffredo Casalis ci dice come in Basaluzzo esistevano
due badie ed abbazie, l'una col titolo di S. Bartolomeo del Fossato,
e di S. Giuliano l'altra. Noi di ciò brevemente ce ne occuperemo
dicendo che la prima di queste è la più antica, ed
i Monaci Benedettini che la formarono sotto gli auspici dei re Longobardi,
abitavano il chiostro detto di S. Maria e di S. Bartolomeo del Fossato
la di cui strada e regione che sta sotto, ancora oggidì vengono
chiamate del Fossato. Le celle di questo Monastero sono quasi tutte
rovinate ad ancora ne scorgiamo le vestigia ed alcuni vetusti ruderi
delle fondamenta. Ancora esiste in piedi la chiesa con l'altare
ma oggi è disadorna, però in alcuni giorni dell'anno
viene ancora officiata. Gran parte della casa rustica serve ancora
ad uso agricolo attualmente. Possedevano questi monaci buona parte
dei beni che dal piano di S. Maria si estendevano verso S. Antonio
e la collina in parte compresa si trovano ancora memorie nel Comunale
catasto le quali accennano, parte di essi, al Parroco come vi passò
la regione Caneparo. Rintracciando gli storici che di tale materia
si occuparono si scorge ancora che l'abbazia in disuso venisse formata
o si diramasse dalla Padia di Sezzè la quale al dire del
Sacerdote prof. Don Giovanni Lanza, fu fondata nel 1030; e che man
mano di poi venisse a porre le sue celle a Retorto e S. Agata presso
Silvano a Castelletto a Casaleggio a Mornese e forse anche a Basaluzzo.
Col volgere dei secoli vennero poi soppresse questa abbazie e parte
dei loro beni formarono il patrimonio del parroco, e parte furono
convertiti coi fabbricai in benefici ecclesiastici .
Badia di S. Giuliano
La seconda abbazia, che la Storia ci ricorda che stanziasse in
Basaluzzo, era chiamata di S. Giuliano. Questa aveva le sue celle
sulla spianata amonima la quale trovasi fra il torrentello Acqua
nera e Basaluzzo e la strada comunale che di qui tende a Fresonara.
Ancora ai nostri giorni, sia per costante ed antica tradizione,
sia dai vecchi e nuovi catasti, ci risulta che quella regione si
appellasse e si chiama di S. Giuliano. Ora più nulla esiste
di quel chiostro, tuto scomparve logoroato dal tempo o per disposizione
degli uomini. Se non che, a prova della preesistenza di un tale
monastero che lo ricorda ancora quell'ammasso che viene detto Cappella
di S. Giuliano, sopra il quale, e sullo svolto dell'anzidetta strada
comunale, ancora pochi anni fa stava dipinta a fresco l'effige in
proporzioni naturali del S. Vescovo che fu il primo Mitrato della
diocesi di Mans nell'anno 286, città della Francia del Dipartimento
della Sarthe. In proposito di quanto accenno mi viene riferito dal
sacerdote D. Giacomo Zuccotti attuale maestro di scuola, che su
quei pressi facendo arare profondamente un campicello di rinvennero
vecchie fondamenta, e ciò viene a confermare colla storia
la preesistenza dell'abbazia che ci viene indicata dallo istoriografo
Casalis. Questa Badia possedeva molti beni fra i quali era compresa
l'anzidetta spianata nella quale sorgevano le sue celle. Seguendo
sempre gli storici, che ci occuparono di tali sacri sodalizi ci
risulta che questi monaci appartenevano all'ordine dei Cistercensi
che essi dalla sontuosa Badia di Tilieto presso Molare si sparse
poi Campale, Cassinelle, Castelvero presso Castelletto Capriata
e Basaluzzo. L'ordine dei Cistercensi venne fondato nella città
di Cisteaux da cui venne il nome che ricorda l'antico Cadastro;
obbedivano questo abati alle regole dell'insigne italiano S. Benedetto.
Forse questa seconda Badia si eresse in Basaluzzo in quel torno
di tempo in cui era feudatario di questo Castello il Papa Giulio
II (vedi parte prima). Per accertarmi di ciò frugai nel Parrocchiale
archivio per vedere se si conservava qualche Pontificia Bolla o
documento; ma tutte le carte di quell'epoca più non esistono
perchè o vennero distrutti dagli incendi, od in epoca di
saccheggi o logorati dalla vetusta per poco cura usata nella loro
conservazione. Anche la Badia di S. Giuliano, al pari di quella
di S. Maria e di S. Bartolomeo del Fossato vennero soppresse sotto
il Pontificato del papa Pio V; furono poscia abolite da Vittorio
Amedeo III re di Sardegna che ne vendette i beni, parte dei quali
passò alla prebenda parrocchiale. Da quanto esponemmo veniamo
a conoscenza che gli abati tanto dell'una abbazia quanto dell'altra
erano entrambi guidati dalle stesse regole di S. Benedetto e ciò
a grande vantaggio, morale e materiale, per Basaluzzo, perocchè
questi monaci dell'insigne ordine di S. Benedetto avavano per lo
programma di difondere ed accrescere la religione cattolica e con
essa la coltura delle terre e la civiltà non che l'istruzione.
In proposito di queste tesi non riuscirà discaro al cortese
lettore che io ne riferiva quando dagli imparziali storici ci viene
tramandato. I monaci Benedettini nei primi secoli del loro istituto
che fu sul 490 e durante il regno dei Longobardi per piantare i
loro monasteri cercavano luoghi romiti disabitati, lontano dalle
città ed anche incolti come appunto in allora si presentavano
i piani di Santa Maria del Fossato fuori di Basaluzzo. Su di questi
luoghi i monaci conducevano colonie di liberti e poi qua e là
stabilivano le loro celle, donde poi dirigevano la coltivazione
dei beni a loro donati dai re . Infatti noi siamo debitori ai monaci
Benedettini della coltura, e di aver resi fertili quasi tutti gli
Appennini non solo, ma ancora molte terre incolte di Val d'Orba
e parte delle colline e montagne del Tortonese e la prosperità
dei nostri paesi ebbe incremento dalle loro celle e colonie, con
tanto amore ed intelligenza e pazienza dirette avendo per obiettivo
la patria agricoltura . La regola di S. Benedetto fu una nuova legislazione
negli annali del mondo - dice Cesare Cantù, che operò
per più tempo e su maggiori individui che non alcune altre
antiche e nuove. Consta essa do nove capitoli di codice morale,
tredici di codice religioso, ventidue di penale, dieci di politico.
Osserviamo questi Monaci un ben ordinato orario e fra questo non
era assegnato tempo d'ascoltare la messa, eccetto le Domeniche.
Secondo le stagioni, le ore venivano ripartite in preghiera, lavoro
secondo la capacità e robustezza degli individui, e in refezioni.
Questo era il far loro da mattina a sera, al quale obbligo adempiendo,
i monaci si posero a copiar libri, tal che ad esso dobbiamo la conservazione
dei classici, al tempo stesso che dirigevano i loro coloni a fertilizzare
i terreni attigui ai loro monasteri; sanando le paludi, disboscando
e mantenendo i buoni metodi dell'agricoltura. La prosperità
di questa essendo intento comune e trasmessa ai successori potevano
compiersi opere cui la vita ed i mezzi d'un semplice proprietario
o di un privato non bastavano. Perciò uno accorgevasi, in
quei tempi, di avvicinarsi ad uno di questi monasteri, quando vedeva
i campi ben coltivati filari, di viti e vigneti ben tenuti, frutteti
lussureggianti di squisita frutta, rigagnoli d'acqua con arte condotti,
mentre ciò non osservavasi nei fondi dei privati. Le terre
che erano possedute dai monaci, per regio privilegio andavano esenti
dalle contribuzioni e perciò lasciavano maggiore agiatezza
al colono che serviva o dipendeva dai Frati, e reputavasi allora
ben fortunato chi poteva mettersi in tal numero, e le colonie dei
Benedettini crebbero di numero non solo, ma di istruzione nella
pratica agricoltura che è quella nobile arte che più
apporta nei nostri paesi agiatezza e prosperità . Parmi perciò,
di poter da queste esposizioni di si esimii storici dedurre che
Basaluzzo sino da antichi tempi ebbe mercè le due abbazia
sopra accenate due scuole di pratica agricolura e mi permetto perciò
di chiamarlo ben fortunato.
Oratorio della confraternita di S. Antonio
L'edifico sacro dell'oratorio della confraternita di S. Antonio
viene giudicato assai antico e gli intelligenti in tale materia
deducono tale conseguenza dalla vetusta, robustezza, qualità
e forma di costruzione dei suoi muri. Anche la facciata rivela la
sua non dubbia antchità. Consta esso di una sola navata che
termina col colo il quale è adornato da uno stupendo grande
quadro ad olio di eccellente pennello e di pregiato valore il quale
rappresenta l'esaltazione di Maria in Cielo, e forse un tal prezioso
dipinto è dono dei Visconti allorchè furono feudatari.
Il Sancte Santorum è pure abbellito da un magnifico marmoreo
altare maggiore, di fin ed accuratamente lavorati marmi. Ai lati
sonvi due sfondate cappelle, quella dal lato destro di chi enra,
è dedicata a S. Bovo - e quella a manca a S. Lucia. Ambi
due contengono un quadro del santo a cui l'altare è dedicato
ma questi sono di lavoro meno pregevole del primo quadro. Sopra
la porta di entrata è collocato un nuon quadro organo il
quale consta di 26 registri e fu costruito dal rinomato fabbricatore
Giovanni Marasco di Varese nel 1854. Recentemente venne costruito
il nuovo campanile sul disegno del Geom. Becchi di Pasturana. I
lavori di costruzione furono diretto dal Capo mastro Basaluzzese
Zuccotti Pio. La sua altezza raggiunge circa i 19 metri. Questa
confraternita possiede redditi propri ed il suo oratorio è
sufficientemente fornito di sacri arredi e di appartamenti.
Casa della Fratellanza operaia di Basaluzzo
La società denominata Fratellanza Operaia di Basaluzzo venne
istituita nell'Ottobre 1878. Alle prime sedute si compilò
il suo Statuto e quindi proclamò a suo presidente onorario
a vita il Conte Pinelli Gentile, dopo il terzo anno venne nominato
qual presidente effettivo il sig. Carlo Rocca il quale da allora
in poi venne sempre riconfermato per cui ancora oggidì copre
l'onorifica carica popolare. In questo frattempo la dettà
società temme la sua sede ora presso la casa municipale ora
nella casa del suo Presidente effettivo. La divenuta man mano più
floride le sue finanze nel 1893 questo sodalizio prese maggior risveglio
e sorse nei soci l'idea di erigersi una casa propria con una vasta
sala-teatro. Per tradurre in fatto questa patriottica idea, si iniziarono
pratiche presso la signora Campi Giuseppina in Gandini per fare
acquisto dell'area sulla quale dovesse sorgere un tale edificio.
A tal uopo venne incaricato il Geometra Massimo Giavino affinchè
redigesse lo stralcio dell'area a ciò necessario, non che
la relativa perizia. Compiuto questo primo studio, le parti contraenti
si accordarono fra di loro e con pubblico istrumento delli ventitrè
di febbraio 1897 la Campi vendeva all'ente morale la Società
della Fratellanza Basaluzzese parte della sua corte al civico n.
49 posta all'angolo che vien formato dalla strada di Fresonara,
là dove sbocca sulla contrada principale detta di Umberto
I. Nel 17 Marzo di detto anno i soci si radunarono a fraterno banchetto
dal N. 37 che erano, si accrebbero sino al numero 74 e nel 1894
salirono sino al N. 130. Fu appunto in questo anno e nel giorno
18 marzo che venne collocata la prima pietra fondamentale del nuovo
edificio con intervento del sig. Pretore, dell'onorevole Borgatta,
del Conte Pinelli, dell'avv. Traverso ed altri distinti personaggi
presenti ed aderenti. Si destò allora una nobile gara fra
tutti i muratori di Basaluzzo, che si associano alla Fratellanza,
e sotto la direzione del Capo mastro Pio Zuccotti lavorarono con
febbrile attività dal marzo sino all'ottobre sicchè
in detto mese nella grande sala si imadì un inaugurale nacheto
di 120 coperti al quale intervennero sette rappresentanze dei paesi
circonvicini oltre il Deputato Borgatta con molti altri distinti
commensali. In questa circostanza, che correva il giorno 28 Ottobre
i suoi soci della Fratellanza presentarono e fecero dono al loro
presidente sig. Carlo Rocca, di una pergamena per avere iniziato
e condotto a buon porto l'erezione della casa della Fratellanza
stessa. La grande sala teatro misura in lunghezza M. 11,20 in larghezza
M. 8 ed in altezza M. 7. Se continuerà a restare ognora accesa
la fiaccola della concordia dei laboriosi e buoni Basaluzzesi, fra
breve giro di tempo, il nuovo Monumento della loro Fratellanza sarà
compiuto in ogni sua parte e testimonierà ai venturi secoli
quanta potenza abbia l'unità di un popolo compatto in uno
solo lodevole volere ed intento solo colla concordia sincera si
possono fare le grandi cose, ed invece con la discordia anche le
più grandi si disfanno.
Monte Frumentario o di Pietà
Ora che tenemmo parole dell'Istituzione filantropica che è
tipica di mutuo soccorso, accenneremo ad un'opera Evangelica che
pur sussiste in Basaluzzo. L'istituzione di cui intendiamo accennare
si è quella del Monte frumentario o monte di pietà,
uno dei molti frutti arrecatoci dal Cristianesimo e di invenzione
italiana e sebbene di essa non esista edificio, speciale in Basaluzzo
perchè il suo magazzeno era annesso alla Chiesa Parrocchiale;
pur merita per la sua importanza morale di tenerne parola. L'istituzione
del Monte di Pietà risale sino al 1497 sotto il Pontificato
di Sisto IV che si eresse il primo a Perugia, ed il detto Papa di
origine Savonese ne pose poscia un altro nella sua patria, Savona
e tosto Cesena, Mantova, e tutte le cento città d'Italia
ne seguirono l'esempio, e man mano si diffusa in tutti i comuni
Italiani. È questa un'opera pia la quale ha per suo scopo
di sovvenire i poveri e di soccorrere i meno abbienmti in modo speciale
nella critica stagione d'inverno e nei tempi di carestia. In Basaluzzo
sorse questa istituzione per quanto potei constatare, sul principio
di questo secolo cioè sul 1815 al 1817 o giù per lì,
allorchè il paese soffriva per carestia di vettovaglie. Si
radunarono in quell'epoca le famiglie più facoltose di Basaluzzo
e convennero di donare a questa pia istituzione erigenda sotto gli
auspici del loro sig. Parroco, una data quantità di grano
onde servisse di fondo per soccorrere i poverelli con la condizione
ad essi di restituire al successivo raccolto la quantità
loro somministrata con un tenue interesse, e l'una e l'altro sempre
in natura, non in danaro facendo salire in tal modo con quell'equo
compenso il fondo in magazzeno per poter soddisfare in seguito più
laute distribuzioni e soccorsi. Di qui appunto ne venne l'appellativo
di monte Frumentario. Chi prendeva a mutuo presentava una sicurtà
cioè una avallante, e possi dire che il favore cha la pia
istituzione rendeva al poveretto od al privato bisognoso tutta basavasi
sull'evangelico principio dell'onestà. Durò parecchi
lustri quasta pia istituzione con grande vantaggio del ceto sociale
meno abbiente, ma poi, o sia che le successiva amministrazioni usassero
minor zelo ed attività nel riscuotere, delle precedenti,
oppure che quelli che prendevano a prestanza divenissero più
trascurati nell'adempito degli obblighi contratti... il fatto si
è che una così benefica istituzione a poco a poco
si affievolì in tal modo che il capitale trovavasi tutto
in mano dei mutuanti ed il magazzeno rimase semi vuoto. Un tale
stato di cose richiedeva che l'auorità tutoria intervenisse
onde la maggior parte del fondo non si disperdesse. A ciò
provvidero le vigenti leggi che governano le Congregazioni di Carità
ed i relativi regi regolamenti organici.
Congregazione di carità
Fu nel 1870 che vennero nominati ed incaricati i benemeriti cittadini
Giovanni Dardano, attuale R. Giudice vice Conciliatore, ed il sig.
Rocca Carlo, attuale presidente della Società operaia, i
quali con lodevole e disinteressato zelo, si posero a cercare ed
a trovare il bandolo di si azzuffata matassa e con paziente lavoro
formarono un ruolo di tutti i crediti che ancora conservavano probabilità
di esenzione, ed un altro che comprendeva le quote che per varie
ragioni si rendevano inesigibili. Ciò fatto vennero incaricati
dal sig. Sotto prefetto di Novi Ligure a curarne e a depurarne la
liquidazione e relativa esazione, la quale portata a termine di
qui ebbe vita e venne eretta la pia istituzione dell'attuale confregazione
di Carità in ente morale giuridico. Nel 1879 poi venne in
suo aiuto ed aumento di reddito le disposizioni testamentarie della
benemerita sig. Marina ved. Gemme nata Zuccotti della cui virtù
ne parleremo prossimamente nella parte Biografica.